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Conferenza di Copenhagen

Strutture, certificazione d'albergo

di Marco Masciaga

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28 settembre 2009

Per decenni gli hotel indiani sono stati sinonimo, a una estremità del mercato, di sporcizia e incuria. E, a quella opposta, di un'opulenza così sfacciata da sedurre, e talvolta far sentire un poco in imbarazzo, anche il più navigato dei viaggiatori. Quando Marco Carrano, architetto milanese di 52 anni, si è dovuto misurare con il compito di progettare un albergo della catena americana Radisson a Kolkata, la ex Calcutta, si è trovato di fronte alla necessità di sfatare entrambi i luoghi comuni. L'hotel avrebbe dovuto offrire tutto ciò che un cliente si aspetta da quello che nel mondo dell'hospitality viene definito un full-service hotel. E allo stesso tempo avrebbe dovuto introdurre concetti come riciclo, risparmio e, più in generale, sostenibilità in un paese in cui nuovi ceti medio-alti non sembrano particolarmente inclini a scendere a patti con l'idea che il proprio tardivo ingresso en masse nella società dei consumi debba essere in qualche modo calmierato da minuscoli sacrifici a beneficio della comunità.

Il risultato è un hotel che dovrebbe aprire le proprie porte al pubblico alla fine del prossimo anno e che, assieme al Park Hotel di Hyderabad, aspira a imporre nuovi standard di sostenibilità nell'industria alberghiera indiana. Entrambi gli hotel, non a caso, sono stati progettati perché possano ricevere la certificazione Gold in base al Green Building Rating System del Leadership in Energy and Environmental Design (Leed).

Nel caso del Radisson di Kolkata, il progetto messo a punto da Carrano, oltre a comprendere alcuni accorgimenti che sono ormai divenuti di uso comune nella maggior parte dei progetti greenfield (come il filtraggio e riciclo della pioggia per quegli utilizzi per cui non è necessaria acqua potabile), ha dovuto tenere conto di alcuni fattori come il clima e il traffico caotico che caratterizzano la megalopoli bengalese. La facciata dell'edificio, per esempio, sarà dotata di un'ulteriore barriera di vetro, pensata appositamente per abbattere l'inquinamento acustico proveniente dalle strade circostanti, mentre la superficie del tetto dell'hotel sarà occupata al 70% da una piscina. Lo scopo non è, banalmente, quello di impiegare in maniera fruttuosa un'area che rischierebbe altrimenti di andare sprecata. Ma soprattutto quello di inserire tra le camere e l'impietoso sole dei tropici un'intercapedine d'acqua in grado di accrescere l'isolamento della struttura, contribuendo ad abbassare i costi, a queste latitudini non trascurabili, legati alla climatizzazione degli ambienti.

La decisione di sacrificare il tetto dell'hotel alla causa del l'isolamento termico non ha però dissuaso Carrano dall'idea di capitalizzare almeno in parte la grande quantità di energia solare disponibile in India. Di qui la decisione di spostare su due delle facciate dell'edificio, quelle rivolte a sud e a est, quei pannelli solari fotovoltaici che tradizionalmente vengono collocati sul tetto, conferendo loro quella che Carrano chiama «una funzione architettonica». Da semplice vezzo ecologista (qualche anno fa), a elemento non più marginale sul fronte dell'approvvigionamento di energia (dopo l'impennata del prezzo del petrolio del 2008), fino a diventare parte integrante del design di un edificio. Un duplice sdoganamento neppure pensabile fino a qualche anno fa. Decisamente meno visibile all'occhio dei passanti sarà invece l'installazione di un accumulatore di energia che permetterà di capitalizzare sull'offerta di corrente elettrica a basso costo delle ore notturne per poi impiegarla in quelle fasi della giornata in cui le tariffe sono più elevate.

Nel caso del Park di Hyderabad, parte di una piccola catena indiana di hotel con una spiccata attenzione al design, il tetto, non ospitando una piscina, è stato rivestito di materiali in grado di garantire un solar reflectance index elevato. Mentre nei parcheggi sarà offerta la possibilità ai (per il momento rari, in verità) possessori di auto elettriche di ricaricare le proprie piccole Reva made in Bangalore direttamente in albergo. Una scelta che al momento riveste un valore più simbolico che pratico, ma che va nella direzione di non discriminare chi compie scelte rispettose dell'ambiente.

28 settembre 2009
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